Le principali fonti di sostentamento nell’economia degli stazzi erano le attività legate alla lavorazione della terra e all’allevamento, attraverso le quali veniva prodotto tutto il necessario per il mantenimento della famiglia. L’aglióla era un momento molto importante; durante la mietitura venivano infatti raccolti i frutti per i quali si era lavorato tutto l’inverno e dall’esito di quel raccolto si poteva prevedere come sarebbe stato l’anno seguente: senza pensieri se il raccolto era abbondante, orientato al risparmio se invece il raccolto era magro.
“A granéddu granéddu si pièna lu
sacchéddu”
(Trad.
chicco dopo chicco si riempie il sacco)
Granéddu significa granello, chicco. Una
persona che andava a spigolare, spiga
dopo spiga, finiva per riempirne almeno mezzo sacco. Bisogna raccogliere tutto
nella vita; non sono solo le grandi cose che ci aiutano a crescere, a fare una
provvista o un’impresa. Anche quelle
piccole, sommate l’una con l’altra,
possono diventare, col tempo, un grande patrimonio.
“Ca no pó missà spiculìgghja”
(Trad.
chi non può mietere raccoglie le spighe)
Chi
non possedeva un proprio terreno e quindi non poteva mietere andava nei terreni
altrui per raccogliere quello che era rimasto, le spighe cadute per terra o che
si erano spezzate durante la mietitura. Spiculà in questo caso significa
raggranellare: bisogna accontentarsi di quello che si ha; ad esempio se non ci
si può permettere un vestito di seta si comprerà di cotone. La mietitura, del grano,
dell’orzo o dell’avena, di solito avveniva nel mese di luglio; a giugno, nel
giorno di San Giovanni, si mieteva una manciata di spighe di orzo, si diceva
che s’inziccàa l’òlzu e si ni facìa una maniàta; era un rito tradizionale
per scongiurare che l’orzo non venisse attaccato da qualche malattia, pa nò
pugnìssi. L’orzo era quello che veniva mietuto per primo, poi l’avena e
infine il grano che maturava sempre più tardi rispetto agli altri.
“Còlcia
l’aglióla chi tìmi la frummìcula”
(Trad.
misera la mietitura che ha paura della formica)
Quando la mietitura era molto povera, anche i pochi
chicchi che potevano essere raccolti dalle formiche erano preziosi; ma per
quanti chicchi una formica possa raccogliere non potrà mai essere considerata
una grossa perdita rispetto all’intera raccolta. Si usa per sdrammatizzare una
situazione nella quale una piccola perdita viene considerata una grande
tragedia e si tende a considerarla più grave di quello che realmente è. Aglióla in gallurese significa anche
“luglio”, che è appunto il mese della mietitura.
“Bisògn’a vintulà cand’ànda lu
‘èntu”
(Trad.
bisogna ventilare quando tira il vento)
Durante
l’aglióla, dopo che le spighe di grano erano state portate sull’aia e
calpestate più volte dai buoi, venivano sollevate prima con un forcone, lu
triùzzu, per eliminare la paglia più grossa, e poi con una vanga di legno
venivano lanciate in aria in modo che la paglia, più leggera, si separasse dal
chicco. Quest’operazione non si poteva fare se non tirava almeno un po’ di
vento, perché era il suo soffio che portava via la paglia lasciando ricadere
sulla pietra solamente i chicchi. Il concetto è quello di cogliere subito l’occasione
perché poi chissà quando si ripresenta.
Fuoco
Il
fuoco, prima che si diffondessero i caminetti, veniva fatto nel centro della
casa dentro un cerchio di pietre, lu gjréddu; il fumo usciva attraverso
le fessure del tetto, che non aveva il soffitto, la bòvita, ma era fatto
a scàndali, cioè con delle tavole di legno sulle quali venivano
sistemate delle stuoie di bùda, una pianta dalle foglie larghe con la
quale, oltre alle stuoie, venivano confezionate anche le sedie. Quando in casa
c’era molto fumo e qualcuno si lamentava, gli si rispondeva che lu fùmu ànda
ùnde li bèddi, il fumo si dirige sempre verso le persone belle, quindi non ci
si doveva lamentare, ma compiacersene!
“Lu
fócu ùndi nò brùsgia abbàmpa”
(Trad.
il fuoco dove non brucia, avvampa)
Anche
se ci discostiamo da alcune situazioni, ne rimaniamo comunque segnati. È la
stessa cosa che succede a chi si avvicina troppo al fuoco: si riesce ad evitare
di bruciarsi ma non si può fare a meno che la pelle si arrossi per il calore.
“No
si fàci fócu chi no ésci fùmu”
(Trad.
non esiste fuoco che non produca fumo)
Quando
si fa il fuoco è naturale che esca il fumo. In questo caso il fuoco simboleggia
uno scandalo, un fatto immorale e il fumo rappresenta la sua diffusione. Gli
scandali inevitabilmente vengono scoperti.
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