Così
come era forte la fede in Dio, i galluresi riponevano altrettanta fiducia nelle
capacità di alcune persone di scacciare il malocchio. Quando una persona era di
malumore, particolarmente debole o tutt’ad un tratto non riusciva più a fare
qualcosa che faceva abitualmente significava che qualcuno l’aìa pòstu òcchj,
gli aveva cioè gettato il malocchio. La vittima allora si rivolgeva ad una
signora per fàssi punì li màni, un procedimento attraverso il quale il maleficio
sarebbe stato annullato. Queste signore erano a conoscenza di particolari formule,
li paràuli, che servivano a diversi scopi, non solo a liberare dal
malocchio, ma anche a ritrovare degli oggetti persi, pa li paldimènti;
per superare una paura o uno spavento; in caso di bruciature, in modo da
limitare i danni; per proteggere le galline dagli attacchi della volpe: in
questo caso tra la donna e la volpe si instaurava il vincolo della fìdi,
così una volta diventate comari la volpe non avrebbe più attaccato le galline,
per rispetto alla comare; per il morso dei cani e per chissà quante altre cose.
Le formule andavano ripetute tra Natale e Capodanno, pà infultìlli, in
modo da rinfrescarle nella memoria; in questo periodo potevano essere ripetute
ad alta voce ma in tutti gli altri casi andavano recitate a voce bassa in modo
che nessuno le potesse sentire, altrimenti sarebbero state scoperte, scupiàti,
e non sarebbero più state valide.
Per
lo stesso motivo non potevano essere recitate in chiesa. I sacerdoti non
credevano a queste cose.
“Bàrriu chi no si pò pultà si
spòni”
(Trad.
un carico difficile da trasportare si lascia)
Quando
si è talmente stanchi dal portare sulle spalle un grosso carico l’unica
soluzione potrebbe essere quella di abbandonarlo. Il carico indica le
situazioni difficili della vita.
“Illa càsa di lu re una misùra
v’è”
(Trad.
anche nella casa del re c’è una misura)
Perfino
nella reggia del re, nonostante l’abbondanza, vengono seguite delle regole
nella gestione del patrimonio. E’ bene regolarsi nelle proprie azioni, non fare
stravaganze ma agire con parsimonia.
“La
rìsa è la prìmma chi si piègni”
(Trad. le risate si rimpiangono
presto)
Non bisognerebbe ridere delle
disgrazie altrui, perché la stessa cosa potrebbe capitare anche a noi. Quando
una persona dice ad un’altra di fare qualcosa ma questa non la fa subito o è
molto lenta nel farla, allora si dice che nel frattempo è mòltu l’àsinu di la rìsa!, l’asino è morto dalle risate,
perché l’asino di solito non ride. Un’altra espressione particolare è la
rìsa di la méla granàta!, le risate della melagrana; è una sorta di improperio
con il quale si augura a qualcuno che ride di diventare come la melagrana
matura.
“L’òru no è bònu fin’a paldìllu”
(Trad.
l’oro non è buono finché non si perde)
Ci
si rende conto del valore di una cosa, così come di una persona, quando ormai è
troppo tardi. Indica la tendenza a dare valore ad un oggetto perso che fino ad
un attimo prima era considerato inutile.
“La bùrrula è bèdda càndu dùra
pòcu”
(Trad.
lo scherzo è bello quando dura poco)
Lo scherzo è bello se dura poco; se dura troppo
diventa svilùtu, cioè arriva addirittura a dare fastidio. Dopo un po’ di
tempo sarebbe meglio
confessare lo scherzo, turrà la bùrrula a lócu, un modo anche per far
calmare la vittima che nel frattempo si sarà abbastanza spazientita.
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