Il
lavoro negli stazzi era scandito dallo scorrere dei mesi e delle stagioni. A
gennaio di solito si arava; a febbraio e marzo si zappava il grano e si
piantavano le patate; ad aprile e maggio si piantavano gli orti; a giugno si
tagliava il fieno; a luglio c’era la mietitura; ad agosto si pestavano i
fagioli e si faceva lu débbiu, si ripulivano le terre a riposo, rodìe,
dal cisto; a settembre e ottobre c’erano le vendemmie e si iniziava ad arare e
così si continuava finché il ciclo non si ripeteva nuovamente.
“A
zàppula pànnu ci capóla l’ànnu”
(Trad.
rammendando i panni, passa un anno)
Se
un capo viene rammendato di continuo, il tempo passa senza che ci sia bisogno
di comprarne uno nuovo. Zappulà significa rammendare i panni, ma si usa
anche per una persona che è stata male e si sta riprendendo: gjà è
zappulèndi, a pòcu a pòcu, sta migliorando. Lu zàppulu è la toppa. Capulà
significa scomparire, andare via; quando si è arrabbiati con qualcuno e si
vuole che quella persona scompaia dalla nostra vista si dice: capólaci!.
“Abbrìli,
tòrra lu càni a cuìli”
(Trad.
aprile, il cane torna nel suo giaciglio)
Ad
aprile ci si illude che stia arrivando la bella stagione e invece il clima è
spesso ancora freddo, così che il cane è costretto a rientrare nel proprio
giaciglio. Lu cuìli è il covo, la tana; turrà a cuìli significa
tornare a casa. Turrà viene usato con un altro verbo quando si ripete
un’azione; l’à turràt’a fà significa
lo ha rifatto.
“Da
Pàsca a Capuànnu un pàssu di gjàddu mànnu”
(Trad.
da Natale a Capodanno un passo di gallo grande)
Da
Natale a Capodanno le giornate iniziano ad essere leggermente più lunghe,
precisamente quanto il passo di un gallo grande. Per Pàsca si intende
“Natale”, Pàsca di Natàli; Pàsca d’abbrìli è la Pasqua di
Resurrezione e Pàsca di fióri è la Pentecoste.
“Di
statiàli poltatìllu, di àrru gjà lu sài”
(Trad.
d’estate portalo con te, d’inverno lo sai)
È
riferito all’ombrello che potrebbe risultare utile anche d’estate. Veniva
infatti talvolta usato per ripararsi dal sole, specialmente quando si andava in
paese. Le stagioni sono lu statiàli, l’estate; lu aggjìmu,
l’autunno; lu àrru, l’inverno e lu brànu, la primavera.
“L’èa
di màggju è còme un càrrulu d’òru”
(Trad.
l’acqua di maggio è come un carro d’oro)
La
pioggia di maggio è preziosa per il pascolo, il fieno e il raccolto.
“Lòngu
còm’è lu mési di màggju”
(Trad. lungo
come il mese di maggio)
Il
mese di maggio era considerato particolarmente lungo, forse perché le giornate iniziavano
ad essere più lunghe. È un’espressione che viene usata quando si ha a che fare
con una persona lenta, che non riesce a finire una cosa e la tira per le
lunghe. Lòngu in questo caso ha il significato di lento.
“Màlzu
asciùttu, massàiu brùttu; màlzu sìccu, massàiu rìccu”
(Trad.
marzo asciutto, contadino sporco; marzo secco, contadino ricco)
Se
a marzo non pioveva, il contadino poteva zappare il grano e quindi si sarebbe
poi arricchito dalla sua raccolta. Prima però doveva faticare, quindi sporcarsi
con il duro lavoro.
“Màlzu
piuósu, massàiu rugnósu”
(Trad.
marzo piovoso, contadino rognoso)
Quando
a marzo pioveva molto si diceva che l’annata non sarebbe stata buona e quindi
il contadino non avrebbe avuto molti soldi.
“Càndu
la prèsca è pà fiurì sò pàri nòtti e dì;
càndu
sò li prèschi còtti sò pàri li dì e li nòtti”
(Trad.
quando il pesco sta per fiorire, sono uguali le notti e i giorni; quando le
pesche sono cotte, sono uguali i giorni e le notti)
Qui
ci si riferisce all’equinozio di primavera del 21 marzo e d’autunno del 23
settembre, due giornate nelle quali il giorno e la notte hanno appunto la
stessa durata.
Nessun commento:
Posta un commento