I
principali erano: lu màstru d’àscia, il falegname; lu calzulàiu,
il calzolaio; lu màstru di mùru, il muratore, e li maniàli, i
manovali;
lu màstru di scóla, il maestro elementare; lu duttóri, il
medico; la màstra di pàltu, l’ostetrica; lu frailàggju, il fabbro,
che si occupava principalmente di ferrare i buoi, aggiustare l’albàta,
la parte che entra nel terreno dell’aratro, e produrre aratri, zappe e picconi;
lu trappéri, il sarto; lu furràiu, il fornaio. Alcuni mesteri sono ormai scomparsi: lu carrulànti, che con il carro a buoi trasportava merci da un paese all’altro; lu pariàiu, che si occupava di aggiustare ombrelli e piatti rotti; l’arrutìnu, l’arrotino che passava per le case per affilare gli strumenti; lu scalpellìnu, che tagliava li cantòni, le lastre di granito che servivano per fare le case e lu calbunàiu, che produceva il carbone per le cucine e i ferri da stiro.
“Dùgna
ultulànu vànta la sò ciùdda”
(Trad.
ogni ortolano vanta la propria cipolla)
All’ortolano
la sua cipolla sembra la migliore di tutte. Così si dice quando una persona
vanta le cose di sua proprietà, ma anche i suoi figli o i suoi familiari.
“Lu
calzulàiu càlza l’àlti e ìddu stà scùlzu”
(Trad.
il calzolaio calza gli altri e lui sta scalzo)
Il
calzolaio, essendo quello il suo mestiere, pensa a fare le scarpe per gli altri
ma non ha tempo per farle per lui. Si
dice di una persona che trascura le sue cose per fare quelle degli altri.
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